Il sistema dell'omertà. Scuola e università antipasti di umiliazione

Un giorno di sospensione delle lezioni, un minuto di silenzio, un messaggio di cordoglio in bella vista sul sito. Poi i corsi ricominciano, gli esami pure, le voci sovrastano altre voci e altri annunci, articoli, avvisi di premi vinti e classifiche scalate vengono aggiunti nella pagina dell’università. Tutto torna a scorrere come se niente fosse successo, tutto torna esattamente come prima. Lo stesso sistema malato che trasforma l’istruzione in una competizione, i voti in etichette da cui dipende il proprio valore. 
Perché, diciamolo, a diciannove anni non si dovrebbe pensare di aver fallito tutto nella vita. Eppure accade, praticamente tutti i giorni. Non è normale il fatto che continui a succedere, che il sistema non cambi e non rifletta nemmeno su una possibile trasformazione. 
Inevitabilmente quando succedono delle tragedie come quella del suicidio della studentessa dello Iulm si inizia a pensare che forse era una ragazza fragile, con dei problemi, magari un’infanzia difficile e una famiglia ancora peggio. Non si ipotizza nemmeno per un secondo che il problema non sia solo nella persona, ma nel sistema in cui è inserita. Una volta si diceva che la scuola fosse una palestra di vita, oggi è solo l’antipasto delle frustrazioni di domani. Oggi a scuola impari che è tutto un’eterna competizione, che se non eccelli puoi anche mollare e che le umiliazioni sono parte della crescita e tanto vale abituarsi subito, così quando entrerai nel mondo del lavoro avrai già le spalle più larghe. All’università impari le gerarchie e a inchinarti al loro cospetto, chi si esprime è fuori e chi dissente non rientra più.

Ma quanto può essere dannoso, questo sistema? Anna ricorda ancora con la nausea gli anni del liceo linguistico, a Lovere.
«Era tutto una competizione, e gli insegnanti la alimentavano. Sembrava quasi che preferissero vederci star male anziché essere serene» racconta. Bullizzata per anni da una sua compagna, Anna inizia a stare male ma nessuno fa niente. «Ho avuto un periodo di depressione, mi tagliavo. Ero frustrata dal non riuscire a dimostrare agli insegnanti che mi impegnavo» continua. Più di tutto, ciò che l’ha ferita è stata l’omertà. «Che fossi vittima di bullismo lo sapevano tutti, anche i prof, ma non hanno mosso un dito. Solo quando mia mamma è andata da un docente a chiedergli di intervenire le cose sono cambiate». Anna non è l’unica ad essere rimasta delusa dal silenzio degli insegnanti.
 «La cosa che mi faceva male era vedere che tutti sapessero cosa stava succedendo, ma nessuno faceva nulla. Dicevano che avremmo dovuto essere noi a parlare del problema, non capivano che avevamo paura». Marta ha passato i tre anni delle medie ad essere derisa e vessata dalla sua classe. Con lei anche Tommaso, in due contro il branco. Anche in quel caso, nonostante la situazione fosse visibile e nota, non un docente ha mai fatto qualcosa. «Solo una cercava di starmi vicina, mi dedicava delle attenzioni in più ed era affettuosa ma non ha mai fatto un discorso alla classe per dire loro di lasciarci in pace» continua la ragazza. 
Poi c’è Adriano, che si era convinto che non andare bene al liceo significava automaticamente aver fallito e un giorno ha infilato i libri di scienze umane e storia nello zaino e ha deciso che in quella scuola non sarebbe più tornato, mettendo da parte il suo sogno di fare lo psicologo. 
C’è Irene, che nonostante lo studio intenso, quasi spasmodico, prima di ogni interrogazione sentiva l’ansia stringerle la gola rendendole difficile respirare. Era una delle più brave della sua classe, al socio sanitario di Lovere. «Una volta una mia compagna di scuola mi aveva detto “Irene, non sei un numero”, ho capito solo anni dopo che aveva colto una delle mie più grandi insicurezze, che non avevo ancora realizzato. Pensavo che i voti fossero tutto, che il mio valore fosse tutto lì».

Che scuola è questa e qual è il suo scopo? Insegnare, educare? Sì, ma a cosa? Un sistema che fa credere a ragazzi nemmeno ventenni di non aver speranze è un sistema che ha fallito. E non ha fatto passi in avanti, ha installato lavagne multimediali e scambi internazionali, ma è rimasta quell’ «ospedale che cura i sani e respinge i malati» che Don Milani ha cercato di combattere. Un sistema scolastico non si può valutare sulla base delle sue eccellenze, sulla preparazione dei migliori, ma sul modo in cui vengono trattati gli ultimi, i più fragili. E se in una scuola o in un’università regna l’omertà, allora la strada è ancora lunga. 


Maria Ducoli